#Interviste

Gli ingredienti della comunicazione secondo Lucca Cantarin

Giulia Zampieri
gennaio 2020 - 6 minuti
lucca cantarin

Tutti parlano di prodotto, ma ha un’identità che sappia parlare? Con Lucca Cantarin, titolare della storica Pasticceria Marisa, parliamo del valore delle tradizioni, della comunicazione tra racconti e rapporti, dei nuovi equilibri tra le imprese creati dai social e dell’ascolto attivo – sia del mercato sia dei collaboratori.

Quanto pensi sia importante l’identità della tua attività, intesa sia come le persone che la rappresentano sia come il percorso che ne valorizza prodotti e progetti?

L’identità e la persona sono alla base di tutto. Ti faccio un solo esempio: quando nella nostra comunicazione inseriamo l’immagine di mia mamma Marisa gli apprezzamenti schizzano alle stelle. Significa che la componente umana è fondamentale.

Hai un metodo preciso che utilizzi in fase di sviluppo del prodotto? E cambia in base alla tipologia del prodotto?

Il confronto con i colleghi è alla base di tutto. Poi si tratta di spulciare, guardare e assaggiare tanti prodotti e tanta materia prima. E infine c’è anche un’esigenza di espressione personale. Per esempio, l’anno scorso avevo una mania per il caramello: ogni cosa che potevo fare col caramello, la facevo. Penso che finché ci sono questi stimoli vuol dire che c’è la voglia di continuare.

Se dovessi descrivere la tua identità in tre parole, quali sceglieresti?

È banale dire passione e amore, perciò scelgo ascolto, occhiali e famiglia. Ascolto perché preferisco, soprattutto in questi ultimi anni, più ascoltare che essere protagonista. L’ho fatto capire anche ai miei collaboratori invitandoli a farsi sentire e mi piace il confronto che si genera. Ho notato che rende di più anche a livello personale. Poi gli occhiali – non sono per esibizionismo – rappresentano la volontà di convivere nel miglior modo possibile con un male che vivi ogni giorno. E infine la famiglia, perché alle origini di tutto c’è sempre la famiglia.

Qual è la tua strategia di comunicazione e com’è cambiata in questi anni?

Più che strategia è quasi improvvisazione e filosofia di vita. “Fai per gli altri quello che vorresti fosse fatto per te”, mi ripeto. La comunicazione dunque non deve essere troppo invadente o esagerata: comunico come mi piacerebbe che qualcun altro comunicasse con me. Nell’ultimo periodo abbiamo inserito nel nostro organico figure dedicate alla gestione strategica della comunicazione di Pasticceria Marisa, che vengono affiancate costantemente da un team di esperti del settore. Questa tipologia di gestione ci permette di avere figure specializzate che respirano la filosofia e il clima della pasticceria e, contemporaneamente, rimangono al passo con i trend e le tecniche del mondo del marketing e della comunicazione. Prevediamo campagne pubblicitarie ad hoc durante feste e ricorrenze e altre attività sul lungo periodo più di carattere informativo. Proprio il fare informazione è un elemento che più manca nel nostro settore e, se ci pensi, è proprio quello che fidelizza il cliente, perché è un farsi sentire sempre presente. Non percepisco un gran valore nel dire “oggi siamo in pasticceria e abbiamo sfornato una nuova brioche”, poteva andare bene appena nato Facebook ma oggi non è più così. Un altro elemento mancante è il saper spiegare i prodotti legati alla tradizione e alla pasticceria.

La comunicazione che fai verso il consumatore finale si differenzia da quella dedicata al settore Ho.Re.Ca.?

L’Ho.Re.Ca. è un settore delicato, per cui spesso ci avvaliamo di rappresentanti. È ancora necessaria una figura umana o una voce: rende sempre di più rispetto a qualcosa di intangibile. E pure la fiducia della chiamata al titolare non ha paragone rispetto alla risposta di un dipendente. Ma oggi in generale ci siamo veramente persi con le persone. Personalmente, ho limitato le comunicazioni email perché preferisco perdere 2 minuti al telefono piuttosto che scrivere un messaggio per rispondere “sì”: la telefonata è molto più immediata e sentendo la voce del tuo interlocutore si crea anche la voglia di conoscerlo. Ma oggi la comunicazione sta facendo passi indietro su quello che è la comunicazione stessa, intesa come dialogo e non semplice trasmissione di un messaggio. Ci si dimentica che a volte vende più il rapporto che il racconto, motivo per cui oggi un piccolo artigiano si trova a scontrarsi anche con le grandi realtà. Una volta era impensabile trovarsi davanti e parlare con un comunicatore di Barilla o Ferrero, oggi puoi confrontarti direttamente con lui. Si sono abbattuti dei muri.

Forse i social in questo hanno dato un’opportunità a tutti, grandi o piccoli. Non trovi?

Sì, siamo tutti allo stesso livello e tutti vogliono far parlare il prodotto. Forse questa compresenza di piccoli e grandi ha contribuito a creare una distorsione tra la figura dell’artigiano e l’industria. Mentre le grandi aziende possono fare pressione pubblicitaria, il pasticcere di paese ha cominciato a urlare per far apparire il suo prodotto più buono aggiungendo parole come “artigiano” o “fatto a mano”, che non vuol dire necessariamente che sia buono. Paradossalmente se oggi prendi in mano un prodotto della Mulino Bianco o l’ultimo biscotto della Nutella e ne leggi gli ingredienti, l’unica cosa che puoi dire è “chapeau”. Perché hanno un’etichetta più pulita del 90% dei pasticceri.

A proposito di Marisa, la gelateria è da dove la vostra storia è iniziata. La decisione di aprire un locale dedicato solo a questa attività è legata alla voglia di rafforzare la vostra identità?

È stata dettata da un cambio di tendenza del mercato negli ultimi anni e da esigenze commerciali. Perché l’immagine forte della pasticceria aveva completamente oscurato la gelateria, pensa che ad Arsego si erano dimenticati che facciamo il gelato…Siccome il gelato è la nostra origine mi sono detto “o si chiude o si continua in un’altra rotta”. In generale, comunque, stiamo affrontando tre anni di cambiamento: nel primo l’apertura della gelateria, nel secondo quella del laboratorio e nel terzo, il 2020, il rinnovo del locale. Perché ad esempio il merchandising a banco non risponde più alle esigenze odierne.

Sappiamo che segui personalmente la fotografia dei tuoi prodotti. Considerando che il consumatore finale li può trovare “instagrammabili” e quindi generare materiale di comunicazione per la tua azienda, tu quando li sviluppi pensi al loro aspetto fotografico?

Penso soprattutto all’aspetto fotografico. Prima c’è la scatola, poi il prodotto – soprattutto se da ricorrenza. Per i prodotti di San Valentino, ad esempio, abbiamo prima studiato l’altezza della scatola, abbiamo capito se potesse essere ordinabile e poi abbiamo definito il prodotto in ogni dettaglio.

Quindi il prodotto è un’esperienza pensata in ogni suo momento – dall’ordine al gusto finale.

Meglio ancora: io parto dalla situazione a casa.

In questo momento storico c’è una particolare attenzione alla responsabilità sociale dell’azienda, intesa non solo come responsabilità sul cibo, ma anche nei confronti dei dipendenti, del territorio e delle comunità. Come ti rapporti con questa tematica?

Le aziende vanno avanti perché ci sono i dipendenti, quindi per prima cosa va tornato loro il valore che creano ogni giorno. Anche a livello umano. Certo, per noi è un po’ difficile elaborare un welfare come lo può gestire un’azienda di oltre 1.000 dipendenti. Non abbiamo la struttura organizzativa per farlo ma se possiamo andiamo incontro a tutte le esigenze, soprattutto in tema di formazione.

Hai difficoltà nel trovare persone che vogliano lavorare qui?

No, nel settore pasticceria io, come Lucca Cantarin, ho un’identità. Quindi molte persone si propongono spontaneamente. A prescindere però cerco di avere sempre personale che provenga al di fuori del Veneto: per innalzare il livello motivazionale, per evitare staticità e per avere più stimoli a livello personale. E poi generalmente non voglio che le persone restino più di 2 o 3 anni: voglio che ci sia un interscambio continuo in cui nessuna delle due parti – azienda e operatore – si scelga. Piuttosto entrambe dovrebbero dare un’opportunità di crescita all’altra.

Hai esperienze in fatto di collaborazioni? Le aziende usano la tua immagine o tu ti affidi ad altre persone per promuoverti?

Sì, ed è un rapporto che fa bene sia alle aziende perché le sostiene sia a te perché capisci che quella realtà crede nel tuo progetto. Ogni collaborazione negli anni mi ha sempre portato benefici. Anche in questo caso di base c’è un rispetto reciproco. Ed è fondamentale per la tua crescita personale.