#Marketing
Se chiedeste la definizione di branding ad accademici, professionisti o esperti del settore, ognuno di loro vi risponderebbe in modo diverso, con il rischio di ritrovarsi a parlare erroneamente di marketing.
I massimi esponenti delle due aree forniscono il giusto significato delle due attività cardine del mercato. Aaker descrive il brand come la somma di tutti gli aspetti tangibili e intangibili che le persone associano a determinati servizi o prodotti erogati da un’organizzazione. Il marketing, invece, secondo l’ultima definizione consegnataci da Kotler, consiste nell’individuazione e nel soddisfacimento dei bisogni umani e sociali.
Autori come Miller e Muir supportano l’idea che “l’attività di branding debba precedere quella di marketing in quanto quest’ultima implica la pianificazione e l’esecuzione di concept di prezzo, promozione, distribuzione di idee, beni e servizi, organizzazione ed eventi per creare e mantenere relazioni che soddisferanno gli obiettivi tanto dei visitatori quanto dell’organizzazione”.
Alina Wheeler, nel suo “Designing Brand Identity” riassume visivamente così il concetto di branding.
Alina Wheeler, Designing Brand Identity, 2003.
Se la marca è il punto di partenza di ogni attività di business, il marketing entra in gioco subito dopo. Una volta stabiliti i principi cardine, e avvenuta l’acquisizione di un’identità definita da parte del brand, sarà compito del marketing cercare di portare avanti la sua ragion d’essere. Se la marca è il messaggio, il marketing è come l’azienda: decide di comunicare quel messaggio, tenendo in considerazione il posizionamento che il brand ha deciso di adottare, la sua personalità, i valori e il tono di voce definiti (e che dovrebbero essere abbracciati anche da tutto il team).
Se il tuo business fosse una persona, la marca sarebbe la sua personalità: il modo in cui decide di presentarsi a nuovi amici (i clienti) e come instaurare una relazione di fiducia con loro.
Perché oggi continuiamo a comprare prodotti Apple pur sapendo che il valore intrinseco del prodotto è molto più basso del suo prezzo, mentre nel 1993 il Newton fu un totale fallimento? Alcuni potrebbero dire che il mercato non era ancora pronto, la realtà è che il brand di Apple non si era ancora sviluppato.
Jason Fried, co-founder di Basecamp, ha riassunto il concetto di brand in un tweet: “Non hai un brand fino a quando qualcun altro non ti dice ciò che significa. Fino a quel momento avrai soltanto un logo, un marchio, una parola o una personale visione su ciò che il tuo business potrebbe essere”. Come raggiungere questo successo?
Quando si progetta un brand si va a definirne l’essenza, la sua ragion d’essere, lo si pensa come fosse una persona: una visione condivisa da molti studiosi e professionisti è proprio il parallelismo brand-persona: il branding è quello che sei. Come un essere umano, il brand è complesso e dalle diverse sfaccettature, ha un aspetto fisico (logo, palette colori, carattere tipografico), una personalità (che si esprime sia attraverso gli elementi visivi che attraverso il tone of voice che si decide di utilizzare), un’anima e dei comportamenti che li differenziano dagli altri.
Esattamente come un amico che è entrato nel nostro cuore, la marca lascia un’impressione: offre una visione del mondo e invita gli altri a sostenerla. Le marche più forti sono guidate da un’ideale e lo raccontano a chi abbraccia il loro stesso pensiero. Il modo in cui si raggiungono le persone, come ci si racconta a loro, è opera del marketing.
La marca è razionale ed emotiva, proprio come una persona. Entrambe le parti devono essere chiaramente definite e schierate per sviluppare appieno il potenziale del brand che dovrà operare con coerenza sulla base di un insieme ben definito di principi e valori.
I principi formano gli elementi costitutivi razionali per la marca e sono combinati con una chiara missione (ciò che intendete fare per raggiungere il vostro scopo) e una strategia chiara (le azioni immediate da intraprendere per portare a termine la vostra missione). Da questa unione, si forma una piattaforma di lavoro per guidare le azioni del brand in modo che siano pertinenti, coordinate e coerenti.
La strategia di marca dovrebbe essere in grado di creare e mantenere una connessione emotiva con gli utenti: dall’informare i propri clienti sulle azioni che intraprende, a come si impegna per dare forma al mondo, attraverso quali attività educa e diverte le persone che la seguono.
Il lato emotivo della marca si forma attraverso i punti di contatto interni (cultura aziendale) ed esterni (rivolti al consumatore). Questi punti di contatto comprendono la progettazione dell’esperienza del prodotto o del servizio, la comunicazione visiva, la pubblicità, il servizio clienti e, più in generale, l’esperienza complessiva brand-cliente prima, durante e dopo l’acquisto.
Le marche che si distinguono dalla massa lo fanno coinvolgendo le persone a un livello più alto, rendendosi memorabili. I brand più interessanti sono rilevanti, coinvolgenti, divertenti e il più delle volte coraggiosi: si schierano a favore o contro un problema sociale e hanno la sicurezza di distinguersi dalla folla.
Ne è un chiaro esempio Diesel che, dopo aver dichiarato fedeltà al Pride Month, ha festeggiato la perdita di 14mila followers con un post in cui celebra l’addio di chi non condivide gli stessi valori:
https://www.instagram.com/p/BzdF8V5ii3h/?utm_source=ig_embed
Questa attività esula dal semplice prodotto venduto e dà forza alla marca in quanto portavoce di valori che ogni azienda deve possedere per guidare e differenziare la propria attività.