#Cultura
Tutti o quasi lo hanno visto: The Social Dilemma è il docu-film prodotto da Netflix che ha fatto tremare i grandi colossi del web come Google e Facebook. Un documentario che porta le testimonianze di ex dipendenti che hanno abbandonato queste realtà spinti da motivazioni etiche. Nel cast troviamo i maggiori programmatori dell’era digitale, dall’inventore del tasto “mi piace” di Facebook a colui che ha creato nuove features per le email di Google, al fine di indurre gli utilizzatori a un uso più costante dell’app.
Queste persone si sono chieste: fino a che punto il mio lavoro può creare un danno agli altri?
Quello che si cerca di spiegare in questo documentario è in primis questo concetto: «se è gratis, allora il prodotto sei tu». Dunque i social sono fruibili a tutti e sono gratuiti, perché alle spalle vi è un sistema di algoritmi che studia interessi, hobby, passioni degli utenti. Facebook ci vede come possibili acquirenti di un prodotto che lui sponsorizza. Più tempo passiamo sui social con contenuti che ci interessano, più siamo possibili acquirenti dei prodotti delle aziende.
In secondo luogo emerge il problema delle fake news. È ormai chiaro che attraverso meccanismi come i “video consigliati su YouTube” gli utenti possano sentirsi condizionati da “verità non veritiere”. La paura e la disinformazione possono crescere al punto da creare effetti collaterali sociali anche molto gravi, come nell’esempio del genocidio dei musulmani in Myanmar, dove la piattaforma ha dato ai militari le armi perfette per favorire l’incitamento alla violenza, con conseguenze terribili come omicidi, violenze e altri crimini.
Il fenomeno delle fake news è ormai talmente insito nei social network che diventa sempre più difficile distinguere tra finzione e realtà. Nella maggior parte dei casi le pagine che propongono questo tipo di notizie fanno leva su titoli capaci di creare sentimenti come rabbia, indignazione, tristezza. L’utente in genere condivide questi post senza neppure leggere l’articolo e senza controllare la data della notizia, spesso vecchia di mesi o anche di anni.
I portali che “ospitano” le notizie inoltre sono ricchi di pubblicità, così da andare a generare guadagno con le visualizzazioni delle pagine e dei banner sponsorizzati al loro interno.
Il sistema più utilizzato è quello di Google Adsense, dove vengono mostrati immagini e video pubblicitari gestiti attraverso Google Ads (campagne display). Ogni view genera un micro guadagno per il proprietario della piattaforma e i volumi devono essere molto elevati per diventare una fonte di reddito soddisfacente.
I titoli sensazionalistici servono a generare condivisioni in modo organico tra gli utenti di Facebook, senza quindi la necessità di sponsorizzare i post. Questo anche perché in moltissimi casi il sistema di controllo bloccherebbe questo tipo di notizie, soprattutto se legate a tematiche razziali, mediche o sociali.
Secondo l’ultimo report pubblicato da Contenuti Digitali, sito di risorse per il digital marketing, dei siti inaffidabili che hanno pubblicato affermazioni false sul Covid-19 ben 23 sono in Italia e solo nel mese di agosto hanno generato complessivamente 16,3 milioni di visite. In genere vengono visitate solo 2 pagine ma la durata media della visita è di 5′ e 36. Fa riflettere il fatto che solo l’8% del traffico dei siti di fake news proviene dai motori di ricerca mentre la maggior parte arriva proprio dai social.
Pensando alla situazione di pandemia attuale il portale NewsGuard ci dice che nel mondo i siti inaffidabili che hanno pubblicato affermazioni false sul coronavirus sono 352 e in continuo aumento. Numeri che fanno riflettere e che spiegano il perché di così tanta disinformazione sulle tematiche sanitarie.
In questa situazione ci si chiede quale sia la via di fuga a queste dinamiche.
Di sicuro la soluzione non può essere quella proposta da The Social Dilemma, ovvero cancellarsi dai vari Facebook, Instagram, YouTube ecc. e tornare a una vita pre-social. È anacronistico ma soprattutto poco realistico.
Difficile pensare che potremmo davvero smettere di usare i social network e difficile anche credere che i cosiddetti “algoritmi” non vengano sempre più perfezionati a fini commerciali. Dobbiamo sempre tenere presente che i social network e i motori di ricerca aiutano le aziende a crescere e quindi a generare benessere.
Possiamo pensare che brand, creators e influencer possano anche avere un ruolo socialmente utile in questo contesto?
La risposta è indubbiamente sì. Sono moltissimi i brand e gli influencer che si sono spesi per sensibilizzare le persone, sia durante i primi mesi dell’anno quando tutto il Paese è stato costretto a un periodo di chiusura generale, sia oggi, quando la pandemia ancora continua a condizionare fortemente la nostra vita. Anche nel piccolo si possono fare delle operazioni capaci di creare “rumore” positivo attorno al brand e lavorare in ottica di awareness, facendo anche del bene e promuovendo un utilizzo positivo dei canali social.
INFORMING FOR LIFE è un progetto di comunicazione promosso dalla Fondazione MSD in partnership con CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) con l’obiettivo di promuovere sul web l’informazione scientifica validata. Il progetto nasce dalla volontà di individuare una risposta condivisa alla questione fake news applicata al settore scientifico e sanitario. Questo tipo di informazioni ha infatti delle ripercussioni non trascurabili a livello sociale, con potenziali conseguenze sulla salute delle persone.
Giornalisti, ricercatori ed esperti del web si sono incontrati per discutere su come i social possano essere sfruttati per limitare la disinformazione e sui possibili strumenti di verifica di immagini e fonti.
Secondo i dati diffusi dal colosso di Mark Zuckerberg ad Aprile 2020, durante il lockdown, nel nostro Paese il tempo trascorso nelle app di sua proprietà come Facebook e Instagram sarebbe cresciuto del +70% e con esso purtroppo anche la diffusione delle fake news.
Oltre a premere sulla qualità dell’informazione, le comunicazioni sui temi sanitari dovrebbero andare a coinvolgere anche creators e influencer, persone che godono di fiducia da parte dei propri followers. Questa in realtà non è una novità se pensiamo che già nel 1956 Elvis Presley prestò la sua notorietà a una causa di salute pubblica: si fece il vaccino per la poliomielite davanti alle telecamere. Anche grazie alla sua influenza, la copertura vaccinale crebbe dal 75% al 90% e in 10 anni i casi di polio scesero da 58mila a 910.
Di recente abbiamo avuto l’esempio di una delle coppie più influenti del panorama social: i “Ferragnez”. A seguito dell’invito del Presidente del Consiglio, Fedez e Chiara Ferragni hanno postato delle stories su Instagram invitando i giovani a utilizzare la mascherina. Quel giorno i post, le storie, su Facebook, Twitter e Instagram che contenevano la citazione “usare la mascherina” sono quasi raddoppiati nell’arco di 24 ore.
Il 2 Novembre 2020 Burger King ha letteralmente invaso i canali social con un titolo che lasciava davvero senza parole: “ordinate da McDonald’s!”.
Il testo recitava queste parole:
<< Non avremmo mai pensato di chiedervi di farlo. Come non avremmo mai pensato nemmeno di incoraggiarvi a ordinare da KFC, Subway, Domino’s Pizza, Pizza Hut, Five Guys, Greggs, Taco Bell, Papa John’s, Leon o altri punti di ristorazione indipendenti, troppo numerosi per essere menzionati qui. In breve, da qualunque delle catene nostre sorelle nel food (fast o non fast che sia). Non avremmo mai pensato di chiederti di farlo, ma i ristoranti che impiegano migliaia di dipendenti hanno davvero bisogno del tuo supporto al momento. Quindi, se vuoi aiutare, continua a concederti pasti gustosi attraverso la consegna a domicilio, da asporto o in auto. Ottenere un Whopper è sempre la cosa migliore, ma anche ordinare un Big Mac non è poi così male. Abbiate cura di voi >>
Questa specie di lettera aperta è stata pubblicata su tutti i suoi profili social e in diverse lingue a seconda della nazione, in un momento molto particolare per il settore della ristorazione, viste le nuove limitazioni e i lockdown imposti in tutta Europa a causa dell’aumento dei contagi da Covid-19. Viene mostrata la vulnerabilità del settore, con l’ironia tipica della comunicazione di questo brand che non è nuovo a questo tipo di provocazioni.
In questo caso Burger King ha voluto trattare un tema di vero spessore per il momento storico che stiamo vivendo. L’azienda si fa portavoce di una difficoltà comune, chiedendo aiuto a cuore aperto.
L’intento comunicativo è di tipo solidale, e al di là di possibili ritorni di immagine per il brand stesso, questo invito a far fronte comune è stato apprezzato in tutti i paesi in cui Burger King ha pubblicato questa nota.
Cristina Fogazzi, alias “Estetista Cinica“, è un’imprenditrice bresciana e titolare del marchio Veralab che vende cosmetici online. Un brand molto attivo sui social, con un profilo Instagram che conta quasi 800mila followers e con ricavi che nella prima metà del 2020 hanno superato i 35 milioni di euro, con picchi di 4-5 milioni al mese durante il lockdown.
Durante l’estate il brand ha voluto sfruttare la sua popolarità per promuovere l’Italia in un momento in cui il turismo è stato particolarmente toccato dalla pandemia mondiale. La volontà è quella di “scendere in piazza” per incontrare clienti e followers, creando quindi valore aggiunto. Il Tour Cinico è un road show che tocca diversi borghi italiani, offrendo consulenze di bellezza alle followers insieme alle estetiste del suo centro estetico di Milano.
Si tratta di eventi completamente autofinanziati e se pensiamo all’edizione 2019 il costo è stato di ben 230mila euro. Durante questi appuntamenti vengono offerti anche dei tour guidati gratuiti per scoprire le bellezze della città accompagnati da guide turistiche locali.
Sicuramente viene da chiedersi, perché un brand come questo spende migliaia di euro per un tour promozionale che potenzialmente è un’operazione in perdita (a livello economico)?
Sicuramente per chi si occupa di marketing è evidente l’obiettivo di generare Awareness, staccandosi dai meccanismi online per puntare su quelli offline, con una presenza fisica e ben studiata nel territorio. Ma questa iniziativa serve anche a prendere una posizione, come ha dichiarato Cristina Fogazzi: “in questo momento, se si ha la possibilità di aiutare l’economia, ognuno nel proprio piccolo qualcosa deve fare”.
Le persone che partecipano agli eventi viaggiano, mangiano e bevono, e questo significa lavoro per hotel e ristoranti, oltre alla promozione delle bellezze turistiche e culturali attraverso il racconto degli eventi sui social.
Ci sarebbero molte altre iniziative da raccontare e in tutte queste storie emerge è la possibilità di rendere i social network e il web in generale un luogo di condivisione positiva, di solidarietà e soprattutto di ottimismo, in un periodo in cui sembrano così difficili da trovare per utenti e brand stessi.