#Cultura
Uno degli aspetti che riguardano la cultura LGBTQ+ e a cui normalmente non si dà molta importanza, è la funzione del Visual Design nella vita politica e sociale degli appartenenti alla comunità.
La storia della nascita del gruppo PFLAG (Parents, Families and Friends of Lesbian and Gays) ne è un esempio. Nel 1972, dopo aver appreso che il figlio gay era stato picchiato, l’insegnante Jeanne Manford marciò a New York per sostenerlo pubblicamente con un semplice cartellone scritto a mano: “PARENTS OF GAYS: unite in support for our children”. Il testo, scritto a lettere maiuscole e in bold su uno sfondo arancio, trasmetteva un messaggio forte e chiaro a chi guardava.
Successivamente, visto il supporto ricevuto, Jeanne e il marito fondarono l’organizzazione per genitori di figli omosessuali PFLAG, come ponte tra la comunità gay e quella eterosessuale.
Tra i visual adottati dall’organizzazione per promuovere l’iniziativa e convincere l’opinione pubblica, è entrato nella storia un poster, progettato nel 1985 per una convention nazionale, che raffigura una casa di quartiere con un triangolo rosa per indicare la presenza di persone omosessuali all’interno. Le altre case attorno contengono punti interrogativi che interpretano visivamente la domanda provocatoria, scritta in rosa, “Cosa direbbero i vicini?”. Il manifesto nasce con l’intento di far riflettere i membri delle famiglie sul fatto che anche altri (i “vicini”) potrebbero trovarsi nella stessa situazione, di cui non bisogna vergognarsi.
L’attuale logo della PFLAG debutta invece nel 2004: un cuore rosso intersecato a un triangolo sopra il simbolo giallo di uno scoppio. Il cuore rappresenta l’amore della famiglia e degli amici, il triangolo è stato per lungo tempo riconosciuto come simbolo della comunità LGBT, mentre lo scoppio rappresenta il potere del fronte unito per far avanzare l’uguaglianza.
Usando un linguaggio combinato con simboli visivi, PFLAG e altri gruppi usano il design per sottolineare il loro impegno e l’adesione a una serie di principi e valori condivisi. Simboli, banners, graphic art e loghi progettati per celebrare la diversità e sensibilizzare l’opinione pubblica alla lotta alla discriminazione.
I termini usati per identificare le persone LGBTQ+ sono cambiati e si sono differenziati nel tempo, talvolta ripresi da parole che in passato avevano connotazione negativa. Come “Queer”, che attualmente viene utilizzato per indicare le diversità sessuali senza “etichette”, ma negli anni 70 era fortemente denigratorio.
Lo stesso vale per i simboli, il triangolo rosa cominciò a essere usato negli anni 70/80 come simbolo di protesta e liberazione dell’orgoglio gay, ma le sue origini si trovano nella storia dell’olocausto: il triangolo rosa veniva infatti applicato ai vestiti degli omosessuali nei campi di concentramento. Oggi aiuta a non dimenticare la storia delle persecuzioni passate, simboleggiando una “lotta attiva”.
Nel 1970 comincia la decade in cui la comunità LGBTQ+ annuncia a gran voce il suo arrivo nella sfera pubblica nazionale con la nascita di associazioni per la rivendicazione dei propri diritti. In questi anni nacquero molti simboli e grafiche identificative della continua lotta contro il pregiudizio, tra questi la celebre bandiera arcobaleno.
La bandiera arcobaleno è tuttora icona globale del movimento di liberazione LGBTQ+. Lo stendardo originale a 8 colori fu progettato nel 1978 da Gilbert Baker, designer e performer statunitense. L’artista era stato chiamato per ideare una nuova bandiera per l’imminente “Gay Freedom Day”, poiché si voleva rimpiazzare il triangolo rosa con un simbolo nuovo e più positivo. Ogni colore rappresenta un diverso fondamento:
Più tardi le 8 strisce furono ridotte a 6 nella versione più utilizzata negli ultimi anni; nel tempo sono state create moltissime varianti per indicare realtà differenti mantenendo il concetto di base (esiste ad esempio una bandiera a tre colori per i bisessuali, oppure la Transgender flag). Al di là di tutte le varianti, la bandiera arcobaleno si distingue per la sua straordinaria forza visiva e comunicativa.
L’emergenza HIV fu, purtroppo, uno degli eventi più rilevanti degli anni 80. Inizialmente chiamato “cancro dei gay”, il virus HIV/AIDS ha esasperato l’omofobia già esistente. L’opera di sensibilizzazione sul tema ha portato alla produzione di straordinarie campagne visive.
“Silence = Death” è forse la campagna più celebre di quegli anni. Progettata nel 1987 da un collettivo di sei persone, consisteva in un poster pubblicitario strategicamente inserito tra la miriade di manifesti commerciali.
Nel poster il collettivo inserisce il triangolo rosa, già in uso tra le comunità LGBTQ+, capovolgendolo come gesto di rifiuto del vittimismo. A questo aggiunge solo un’equazione scritta in sans serif a lettere maiuscole: “SILENCE = DEATH”, a significare che l’accettare in silenzio e passivamente la propria condizione porta inevitabilmente alla morte. Un design pulito su sfondo nero che si distingue nel disordine urbano della pubblicità commerciale.
La storia LGBTQ degli anni ’90 è ricca di passi importanti: la comunità gay si espone sempre di più e dà vita a una politica di lotta e prevenzione contro la diffusione dell’AIDS. In questo ambito, il fiocco rosso viene usato per la prima volta nel 1991 come simbolo delle campagne contro il virus.
Anche le bandiere transgender e bisessuali vengono create in questa decade, dando voce alle comunità più emarginate rispetto a lesbiche e gay. In questi anni, inoltre, gli omosessuali entrano nella pop culture attraverso diversi format televisivi tra cui sitcoms, film e cartoni animati come i Simpson.
Il logo della Human Right Campaign è uno dei simboli più riconoscibili della comunità lesbica, gay, bisessuale, transgender e Queer. È diventato sinonimo di lotta per la parità di diritti per gli americani LGBTQ+.
Il logo, presentato nel 1995, è stato il tocco finale di una riorganizzazione completa di HRC e rispecchia l’obiettivo di diffusione del messaggio di uguaglianza in tutto il Paese. La realizzazione fu affidata alla società di marketing e design Stone Yamashita che presentò 10 progetti, tra cui un semplice ma audace segno “=” giallo all’interno di un quadrato blu. Dopo qualche mese, il logo è stato introdotto con la nuova carta intestata HRC, biglietti da visita e magliette, e oggi visibile nei Pride e in altri eventi LGBTQ+ assieme all’iconica bandiera arcobaleno.
Essere omosessuale nel 21° secolo è lontano dal concetto di tabù qual era nelle epoche precedenti. Sebbene prima sembrasse impossibile, ora le persone si possono sposare indipendentemente dal sesso. Le nuove tecnologie, inoltre, hanno cambiato radicalmente la vita delle comunità LGBTQ+, specialmente per gli uomini gay. Gli incontri che avvenivano esclusivamente in bar e club, sono ora mediati da app come Grindr.
Quando Grindr ha debuttato nell’Apple store nel 2009, non si sapeva quanto avrebbe cambiato la socialità dei gay. Tre anni dopo, 4 milioni di utenti hanno creato profili nell’app, rendendola la piattaforma più famosa per appuntamenti tra omosessuali.
È interessante analizzare il logo di Grindr: un volto mascherato. Il fondatore dell’app, Joel Simkhai, ha discusso dell’origine del logo in un’intervista, affermando di essersi ispirato alle arti tribali dell’Africa e della Polinesia che usano queste maschere primordiali. Incontrare è un bisogno umano primario per rilassarsi e socializzare e la socializzazione è la base dell’umanità.
In occasione della morte di Gilbert Baker, il designer della bandiera arcobaleno, NYC Pride e Fontself si sono unite per creare un free font ispirato al design della bandiera di Baker: il Gilbert.
Infine anche Nike, nel 2019, ha celebrato il Pride Month con la collezione BETRUE, creata in collaborazione con Gilbert Baker Estate a sostegno della visione condivisa per un futuro più egualitario. Le scarpe della collezione sfoggiano gli 8 colori della bandiera originale di Baker, con inclusa la sua firma.