Visto il periodo in cui siamo tutti a casa e non si può fare granché, molte persone sono tornate a parlare di eSport. Sempre più spesso sento dire che “sono il trend del futuro”, che “i gamer professionisti guadagnano un sacco e fanno la bella vita” oppure che “i principali brand mondiali stanno investendo negli eSport”. Senza contare il “vado anch’io a fare il videogiocatore professionista”! Non ti sto dicendo che non siano un fenomeno incredibile, ma ho l’impressione la maggior parte delle persone ne parli un po’ a sproposito, senza effettivamente sapere cosa siano davvero. E allora ti chiedo: tu sai cosa sono gli eSport?
“Ma sì, dai, sono i videogiochi e roba simile.”
Se la tua risposta è simile a questa, il mio articolo fa per te. Ho pensato di riassumere i concetti chiave da sapere su questo fenomeno per fare un po’ di chiarezza.
Sport vs. eSport: quali sono le differenze?
Partiamo da uno sport tradizionale come il basket. Quando parliamo di basket possiamo fare due cose:
- guardarlo. Da soli o con amici o in tv o al bar o allo stadio,
- giocarlo. Con amici al campetto o in una squadra a livello agonistico o anche come professionisti (no, non è il mio caso 😊)
Per i videogiochi funziona allo stesso modo. Possiamo giocarci con amici, da soli, online o possiamo guardare videogiocatori professionisti per venire intrattenuti. A seconda delle cose che scegli di fare utilizzerai servizi e prodotti diversi. Anzi: completamente diversi.
Chi decide di guardare il basket in tv dovrà pagare un abbonamento (NBA TV, SKY o altri) e sarà soggetto a pubblicità; se va allo stadio acquisterà i biglietti per vedere gli atleti dal vivo. Chi ci gioca invece avrà bisogno di pallone, scarpe da basket e abbigliamento giusto, e magari utilizzerà dei servizi di noleggio del campo. E online?
Chi gioca acquista console, videogiochi, funzioni in-game e altri dispositivi. Chi guarda i videogiocatori non per forza acquista giochi: piuttosto utilizza degli abbonamenti, è soggetto a delle pubblicità, acquista dei biglietti per andare nelle arene, può fare donazioni a favore dei propri videogiocatori preferiti e iscriversi a determinati canali a pagamento.
Ovviamente esistono vie di mezzo. Molto spesso chi gioca è anche spettatore e viceversa, certo, ma per fare queste due cose utilizziamo prodotti e servizi completamente diversi.
eSport e videogiochi
Tanti di quelli che parlano di eSport, da un punto di vista sia di marketing sia finanziario, dicono di investire in aziende produttrici di videogiochi: è chiaro che sono collegate, ma non direttamente. Non è detto che la crescita degli eSport si traduca in maggiori vendite di videogiochi. Perché magari ci sono diverse tipologie di videogiochi, e quelli competitivi più conosciuti sono solo 3 o 4. In questo caso non si punta sulla popolarità del fenomeno degli eSport ma sul fatto che, per esempio, la Activision venda più copie del nuovo COD. Sarebbe come dire che voglio investire nell’intrattenimento sportivo, e investo in azioni di adidas o Nike. C’è una logica dietro, ma sono due cose completamente diverse. Vuoi una dimostrazione? Prova a guardare il rapporto annuale di Newzoo, un’azienda che stila un report annuale sull’industria degli eSport e su altre industre tech. L’infografica qui sotto riporta flusso dei ricavi nei vari settori in questione.
Per caso vedi la voce “Ricavi da vendita di videogiochi”? No. Appunto perché i videogiochi non centrano con gli eSport.
Ci tengo a precisare che i numeri che vedi escludono montepremi e stipendi di giocatori, ritenuti dei costi, e sono escluse tutte le forme di in-game revenues (che sono più legate al gaming) o le scommesse. E considera anche che le voci “digital” e “streaming” non sono da intendere in generale, ma sono riferite a ricavi delle squadre degli eSport e dei loro atleti e ai loro canali di trasmissione.
Il mercato degli eSport
Nel 2019, quest’industria ha registrato un giro d’affari di circa 1,1 miliardi di dollari. Tra i ricavi principali ci sono le sponsorizzazioni, i diritti legati alle trasmissioni, le commissioni che lo sviluppatore deve pagare, il merchandising, i biglietti e i servizi di streaming. Potresti pensare che le commissioni pagate dallo sviluppatore siano la principale fonte di guadagno per gli organizzatori di eventi, invece vedendo il segmento di ricavi (indicati nell’infografica come “publisher fees”) puoi notare quanto sia poco importante rispetto all’intero ecosistema. E non solo: è anche fermo allo 0% di crescita rispetto all’anno precedente, diventando sempre meno rilevante a discapito delle altre fonti di ricavo. Dopo aver chiarito cosa sono gli eSport e le differenze con il mondo dei videogiochi, vediamo quali sono i punti più interessanti di questo ecosistema.
Team e giocatori
Come è logico, man mano che il settore si professionalizza sempre più giocatori professionisti si raggruppano in team. Molti sono solo raggruppamenti di giocatori per competere in un torneo o lega, ma è interessante il fatto che stiano nascendo club professionisti, con strutture imprenditoriali pensate per potenziare il valore degli sportivi. Sempre più diffuse sono le gaming house dove i team vivono assieme e si preparano supportati da:
- preparatori atletici e fisioterapisti, per mantenersi in forma e prevenire i problemi alle articolazioni causati dalle ore eccessive di gioco ;
- psicologi sportivi, perché le pressioni sono altissime;
- specialisti di marketing, perché i giocatori professionisti stanno diventando delle vere e proprie celebrità e cercano di sfruttare la propria immagine. Molti brand sono interessati ad essere associati a questi fenomeni.
Ma quanto guadagna il “CR7” dei videogiocatori? Nel 2019 chi ha registrato i maggiori incassi dai tornei è stato Kuro “KuroKy” Salehi Takhasomi, raggiungendo i 3,6 milioni di dollari. Ho escluso dalle considerazioni i content creator come Tyler “Ninja” Blevins, perché non guadagnano dalle competizioni: la loro fonte di ricavi viene dallo streaming sui loro canali. Sono, quindi, videogiocatori di professione ma vivono di donazioni mentre giocano in streaming, non di tornei. Mi permetto comunque di dire che vivono bene. Ninja, ad esempio, ha un guadagno annuo che si aggira attorno ai 13-14 milioni di dollari, e il suo passaggio a Mixer (la piattaforma di streaming di Microsoft) gli è valso un contratto da 50 milioni di dollari.
“Wow, pazzesco! Cosa ci vuole a diventare un videogiocatore professionista?”
Secondo la maggior parte dei giocatori professionisti, il tempo di gioco medio giornaliero dovrebbe essere di circa 8 ore al giorno fin da piccoli (lo stesso Ninja, in numerose interviste, racconta i numerosi sacrifici fatti e delle sedute di gioco da 12/16 ore al giorno). L’84% dei videogiocatori professionisti di oggi ha iniziato prima di compiere 9 anni. In genere la loro carriera ha un picco tra i 17 ai 25 anni.
Le competizioni di eSport professionistiche
L’infografica mostra la media di telespettatori nelle fasi finali delle varie discipline: League of Legends ha più spettatori dell’NBA e di quasi tutti gli sport americani. Addirittura, la sua ottava edizione è diventata l’evento di eSport più visto nella storia raggiungendo un picco di oltre 200 milioni di spettatori simultanei durante le finali, e superando persino i picchi di spettatori del Superbowl (fermo a quota 148). Per comprendere gli interessi economici intorno agli eSport ho pensato fosse utile fare un confronto con dei montepremi di sport tradizionali.
Broadcaster e piattaforme
Le piattaforme di streaming sono i canali più diffusi per guardare gli eSport. Le principali sono:
- Twitch in America e Europa. Acquistata da Amazon per 970 milioni nel 2014, ha un fatturato che si aggira intorno a 1,5 miliardi di dollari. Purtroppo non viene indicata nel consolidato di Amazon, quindi è molto difficile reperire informazioni.
- Huya, YY e Douyu in Cina godono di enorme successo. Sono entrambe quotate e in utile. L’infografica mostra la crescita dei ricavi dal 2016 al 2019 (passate da circa 750 milioni di fatturato nel 2016 a 7-8 miliardi nel 2019).