Quante volte abbiamo sentito persone dire “su internet si può scrivere di tutto”, oppure ci siamo imbattuti in fake news o contenuti che trasmettevano un messaggio falso? Aggiungiamoci il bombardamento di pubblicità, a volte invasive, che ci terrorizzano per quanto siano mirate e indirizzate a noi e ai nostri interessi. Talvolta ne dubitiamo la legalità e ci rassegniamo a credere che ormai tutto quello che ci riguarda sia di proprietà pubblica, che tutto sia lecito. Tranquilli, non è così, per fortuna esiste una disciplina che si chiama Diritto della comunicazione commerciale e che ci tutela.
Quand’è che la comunicazione rispetta la legge e quando, invece, la viola?
Racchiudere in un articolo la storia giuridica italiana relativa alla comunicazione sarebbe, oltre che impossibile, molto noioso, ne siamo consapevoli. Cerchiamo, quindi, di elencare le tappe e gli snodi fondamentali che regolano l’attività di chi lavora in questo ambito e di chi lo frequenta lato utente.
Siamo liberi di pubblicare tutto quello che vogliamo sul web? No, non proprio.
Grazie all’art. 21 della Costituzione, ci è garantita la libertà di informazione nelle tre sue forme: libertà di trasmettere, cercare e ricevere informazioni, Inoltre, gli art. 2 e 3, che rispettivamente tutelano i diritti inviolabili dell’uomo e garantiscono la libertà di pensiero e l’uguaglianza tra gli individui, sono alla base della nostra libertà, ma non solo.
Quindi, possiamo veramente scrivere quello che vogliamo sul web? La stessa domanda era sorta quando i principali mezzi di comunicazione erano la stampa e la televisione. La risposta è no, per lo stesso effetto degli articoli 2 e 3 sopracitati che, oltre a garantire la libertà di informazione, ne determinano i limiti.
Infatti, non è possibile pubblicare contenuti:
- diffamatori (lesione della reputazione);
- che comunicano dati personali senza consenso (lesione della riservatezza);
- discriminatori;
- istigatori;
- che manifestano reati d’opinione.
Tralasciamo l’ultima questione che riguarda illeciti compiuti contro la personalità dello Stato e i discorsi inerenti la discriminazione e l’istigazione che rappresentano azioni solitamente frutto di una scelta e non di un errore. Ci concentriamo, quindi, sui primi due punti che possono essere una trappola non solo per gli esperti di comunicazione, ma anche per gli utenti comuni.
Reputazione e riservatezza si differenziano per una sola caratteristica: la prima è una comunicazione pubblica di contenuti falsi e denigratori, la seconda riguarda contenuti veri, positivi, negativi o neutri non fa differenza, comunicati senza il permesso dell’interessato.
La comunicazione non può ledere l’immagine pubblica di una persona, questo il motivo per cui la diffamazione è punita dalla legge salvo tre scriminanti che devono essere compresenti: verità della notizia, utilità sociale e continenza formale.
Cosa succede se in un’intervista vengono riportate frasi diffamatorie pronunciate dall’intervistato? La legge prevede che la responsabilità è di chi ha lasciato trapelare determinate frasi nel caso in cui l’intervistato sia una persona notoria e sia presente un interesse pubblico: in questi casi chi trascrive e pubblica le interviste non è autore di illeciti.
Diversa è la questione relativa alla lesione della riservatezza che, come abbiamo visto, si verifica con la pubblicazione di dati personali di terzi.
Per dati personali si intendono tutte quelle informazioni che identificano una persona o la rendono identificabile. Dati sensibili (origine etnica, convinzioni religiose, opinioni politiche, adesione a partiti o associazioni di vario carattere ecc.) e dati ultrasensibili (condizione di salute e sfera sessuale) sono sottocategorie dei dati personali. Anche in questa materia, c’è la scriminante della persona notoria e dell’interesse pubblico.
La Disciplina della privacy e protezione dei dati personali
Le attuali fonti sulla tutela della privacy in Italia sono il Regolamento UE 2016/679 e il D.Lgs 101/2018 che ha sostituito il precedente Codice della Privacy del 2003, adattandosi alle direttive provenienti dall’Unione Europea.
Come abbiamo detto, sono dati personali quelli che consentono di identificare una persona e, tra i tanti, rientra anche l’indirizzo mail. Per questo, affinché un social network, un brand, una testata giornalistica o chiunque abbia bisogno di inviarvi contenuti tramite mail necessita del vostro consenso prima di procedere all’invio, ma non solo. Il consenso, infatti, deve rispettare quattro caratteristiche.
Deve essere:
- informato (il poema omerico che nessuno erroneamente mai legge);
- libero (il quadratino per il consenso deve essere vuoto al momento dell’accettazione del trattamento dei dati personali indicati nell’informativa che avete saltato di leggere);
- specifico;
- inequivocabile.