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Nel suo ultimo libro, Gaetano Grizzanti, esperto di branding, descrive il brand come una risposta all’uniformità dell’offerta nel mercato: “I beni di consumo oggi sono facilmente clonabili e sempre più raramente costituiscono il reale elemento di differenziazione competitiva nel mercato delle imprese”. Nello scenario attuale il primo prodotto da vendere infatti è la propria marca. “Solo grazie al brand, con il suo bagaglio di valori e significati — continua Grizzanti – è possibile distinguere un’offerta o un’azienda in un panorama straripante di concorrenti”.
Il brand diventa così leva competitiva nella costruzione di una proposta unica e impossibile da imitare, perché basata sull’insieme di personalità, valori e visione di cui l’azienda decide di farsi portatrice. Grazie a questo schema, la marca diventa l’alleato numero uno dell’individuo, perché in grado di rispondere ai bisogni reconditi dell’essere umano, “collegando aziende e prodotti a un aspetto psicologicamente interiore e non ad un contesto esplicitamente commerciale” (Grizzanti, 2020).
Quando le aziende prendono coscienza di cosa può essere un brand e dei vantaggi derivati, è il momento in cui devono pensare strategicamente alla propria architettura di marca: l’organizzazione del portfolio di brand detenuti da una stessa impresa, ciascuno dei quali può avere un ruolo, un target e degli obiettivi specifici, e non sempre necessariamente correlati a quelli del Corporate brand, ovvero il brand dell’impresa o del gruppo industriale che sta in capo i singoli brand.
L’architettura di brand che verrà adottata delineerà il modo in cui l’azienda decide di organizzarsi gerarchicamente e proporsi verso il mercato. Orchestrare correttamente l’insieme delle realtà in gioco è importante per:
La principale distinzione da fare in questi casi è tra Branded House e House of Brands.
Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un’azienda madre i cui sub-brand siano immediatamente riconducibili al Corporate brand, perché ne riportano il nome e il logo. Nel secondo caso invece ogni brand agisce come una singola azienda e spesso il Corporate brand è sconosciuto ai clienti.
Le strategie per sviluppare un’appropriata architettura di marca possono essere svariate, ognuna con i suoi punti di forza e debolezza, ma tutte dovrebbero sempre partire dagli obiettivi finali che si vogliono ottenere, ad esempio generare un aumento delle vendite o rendere un certo prodotto più appetibile rispetto a quelli della concorrenza.
Osserviamoli più da vicino.
È la forma più comune di architettura di marca. I principali esempi ci arrivano da colossi come Google, Apple, FedEx in cui i sub-brand sono commercializzati e gestiti dal Corporate brand, ma non operano indipendentemente l’uno dall’altro e non oscurano mai la marca principale.
I vantaggi di un’architettura di marca “Branded House” sono:
Tra i problemi da considerare nell’adozione di questa strategia troviamo:
Struttura opposta alla precedente, la House of Brands ospita numerosi brand, ognuno indipendente l’uno dall’altro e ciascuno con il proprio pubblico, la propria strategia di branding e di marketing e un proprio asset di valori. P&G e Unilever sono ottimi esempi di House of Brands.
I vantaggi di un’architettura di marca “House of Brands” sono:
Tra gli aspetti negativi troviamo:
Esaminando i pro e i contro di ogni struttura sarà possibile trovare quella più adatta alla propria azienda. Non per questo però la costruzione dell’architettura di marca dovrà essere affrontata come un’attività statica, che produca un risultato immutabile, ma andrà piuttosto monitorata e modificata continuamente, se necessario, soprattutto data la natura dinamica dei mercati internazionali e il cambiamento degli ambienti competitivi.
Valutando l’architettura di marca in modo costante, sarà più facile:
Qual è lo stato di salute della marca?
Come viene percepita questa marca nel mercato?
La marca è sempre in linea con il modo in cui l’abbiamo strutturata inizialmente?
Quali nuovi obiettivi abbiamo? Abbiamo raggiunto gli obiettivi prefissati?